Chi è più antipatica tra le due? Bella domanda. Forse l’Armani perché quel PantaLeo Dell’Orco presidente è proprio tremendo quando canticchia “Panta panta panta, Leon leon leon” e nessuno se lo fila nemmeno di striscio. Personaggio per la verità innocuo e per questo oltre modo irritante. Come Bombolone Condò o So-na-lagna Soragna nei salotti ingessati di Sky. Mentre la Virtus è la squadra di Morticia Baraldi e Andrea Bassani, detto Iena ridens, e tanto basta, e avanza, credo, per spiegare quanto sia indigesta pure la Segafredo alla gente. Come tra Belpietro e Sallusti chi buttereste giù dalla torre? Tutti e due insieme. Meglio se si tengono stretti per mano. Chi è invece più bravo tra Messina e Djordjevic? Penso quello che dei due ride meno. Ovvero una scelta comunque difficile. Viste le facce da funerale di entrambi. E chi è il più finto? Forse Ettore che non ha mai confessato d’aver giustamente mandato a remengo Danilo Gallinari con la mano fratturata per quel pugno senza senso. Mentre una volta Sasha mi raccontò che Michelino D’Antoni gli aveva fatto perdere la voglia di giocare a pallacanestro e non smentì mai quell’intervista che fece poi tanto rumore. In verità i due proprio non si sopportano e, se esistessero ancora i giornalisti di una volta, sarebbero dipinti come il diavolo e l’acqua santa. Così almeno mi divertirei ancora un sacco a mettere l’uno contro l’altro. Come quando Bianchini punzecchiava Dindondan Peterson, ma anche Franco Casalini e lo chiamava RoboCop. Pronti, via. Markovic contro Cinciarini: dov’è l’errore? E non ditemi che neppure a questa domanda riuscite a dare una risposta. La telecronaca è di Maurizio Fanelli e Sandro De Pol. Che ricorda come non ci sia del tenero nemmeno tra Micov e Djordjevic che escludeva sempre il Professore dalla nazionale serba. Finalmente un po’ di pepe dopo troppe parole al miele. Subito la tripla del Monnezza Teodosic, 5 milioni e mezzo (puliti e spesi bene) in tre anni. Che costa eguale a Shelvin Mack, il play americano sbattuto in tribuna e presto a casa. Michele Rossi e Manuel Mazzoni sono due dei tredici fischietti che hanno fatto saltare in aria il sindacato (Aiap) presieduto dall’avvocato Sardella che sarà sostituito venerdì 17 gennaio (ma non poteva Stefano Tedeschi scegliere un’altra data?) da Bobo Begnis, candidato unico, durante il raduno degli arbitri a Salsomaggiore Terme. Il terzo è Carmelo Lo Guzzo: dei tre ovviamente il (mio) preferito in quanto non appartenente a nessuna combriccola. ET Fanelli con le cuffie e le antenne sottolinea il fatto che ancora il Chacho non è riuscito a incidere nel match. Infatti Sergio Rodriguez (nella foto) azzecca due bombe di fila e dal 18-10 è 18-16 in un amen. Alti e bassi. C’è il tutto esaurito per una partita che non è nemmeno bellissima e comunque non da 500 euro di biglietto in seconda o terza fila. E sarà solo una sensazione in presa diretta, però mi sembra che la Segafredo abbia qualcosa dentro che Milano invece non ha e neanche cerca: la voglia di far bene per esempio o di correre a briglie sciolte. Con entusiasmo. Teodosic inventa e ha un’ottima spalla in Stefan Markovic (12 assist). El Chacho delle Canarie al contrario predica nel deserto e anche Micov gioca un po’ per conto proprio pur dando spettacolo in attacco. Weems non è quello del derby (32 punti) con la Fortitudo, ma Hunter (19) è buono buono come mi garantiva Luca Banchi quando allenava l’Aek Atene. E Gamble non è da meno sotto canestro. Una tripla estemporanea di Cinciarini spinge tuttavia avanti l’Armani (31-32), ma il sorpasso dura poco e le vu nere scappano nel finale del primo tempo (46-40) per non essere più neanche infastidite nel secondo dalle scarpette rosse che non ricordavo così tristi come in Della Valle, Moraschini e Roll, tre punti in tre dalla lunetta e 0/12 insieme dal campo. Per non parlare di Biligha. Francamente mai avrei pensato che la Segafredo potesse spadroneggiare in questo modo con l’Armani facendola sentire così piccola e fragile. Però è pure vero che Djordjevic ha costruito con 16 milioni di budget una squadra molto robusta, tosta, allegra e ben assortita. Dimostrando che uno scudetto magari si può anche vincere con i Baldi Rossi, i Ricci, i Pajola o i Cournooh che accettano d’essere preziose riserve d’ossigeno quando le star hanno bisogno di tirare il fiato. Mentre Messina con 31, più i 5 spesi per rescindere i pesanti contratti di Mike James e James Nunnally, ha sinora messo insieme un’incompleta armata (Pantaleone?) che non è né zuppa né pan bagnato e che infatti in campionato ha sinora perso una partita ogni tre e in EuroLega addirittura una su due. Ottenendo quale massimo risultato quello che tutti siano veramente terrorizzati dalle sue occhiatacce e dai suoi strilli. A parte i cocchi Rodriguez, Micov e Scola che continuano a fare i cavoli loro. E sul parquet lo si vede. Ma più sconcertante ancora è che il big match tra le due squadre più ricche d’Italia abbia raccolto la miseria di 445.000 spettatori e il tre per cento (scarso) di share sulla seconda rete ammiraglia della Rai durante le feste natalizie e in una domenica pomeriggio senza calcio di serie A in televisione. Robe da matti. Anzi, da vergognarsi. Se si pensa che la settima partita di finale dei playoff di quattro anni fa tra due generose provinciali come Reggio Emilia e Sassari venne vista su Raitre e Eurosport da quasi un milione e mezzo d’appassionati. E poi sarei io la Cassandra che da tempo vede nero nel futuro della nostra pallacanestro litigiosa quanto mediocre. Senza idee e senza dirigenti. Ai minimi storici d’ascolti. Dimenticata dai giovani. Vecchia ed emarginata. Inerte. Eppure arrogante. E quindi drammaticamente sciocca.