L’anticalcio di Allegri è quasi peggio di una polmonite

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Il primo pensiero che voglio scacciare stamane dalla zucca è il clamiadaie pneumoniae. Che è un batterio gram-negativo subdolo. Come mi ha detto la dottoressa che mi aveva in cura a Monastier, tranquillo paesotto del Trevigiano di 4.276 anime di cui, per favore, adesso non chiedetemi pure i nomi e i cognomi di tutti. Così come non potete pretendere che sappia anche perché quel germe schifoso si faccia chiamare in questo modo tanto complicato. Al massimo posso dirvi che è made in Taiwan, la patria dei tarocchi, e che è volgarmente responsabile di una dannata polmonite da clamidia nel suo genere atipica. Dal momento che mi ha tenuto compagnia per tutta l’estate senza mai farsi viva con febbre alta e senza che me ne accorgessi prima di metà settembre. Quando dopo cena battevo i denti per il freddo tremendo che avevo e non bastavano tre coltri di piume d’oca per riscaldarmi nel letto. Una domanda (molto pertinente): ma perché ci racconti i cavoli tuoi? Prima risposta (greve): perché saranno anche cavoli miei. Seconda risposta (carina): perché in molti amici si sono fatti vivi preoccupandosi di come stavo e ora lo posso finalmente dire d’aver debellato, o quasi, questa infezione che, negli anziani, ha comunque un tasso di mortalità del 5-10 per cento. E mi tocco precipitevolissimevolmente sotto. Terza risposta (mite): così adesso avrete capito la ragione per la quale negli ultimi tempi mi avete visto poco in giro. Allo stadio o al palasport. Se non all’Olimpico di Roma per Lazio-Juve 0-1. Dove l’anticalcio di Max Allegri mi aveva già tramortito prima di un unico sussulto: il gol per sbaglio di Khedira. Ma una domanda (cattiva) adesso ve la posso fare anch’io? Coraggio. Chiamereste mai vostra figlia Leopolda? Io no. Anche se voterò al referendum del 4 dicembre turandomi il naso. Come consigliava Cilindro Montanelli. Di cui era allievo Marco Travaglio. Che assieme a Silvia Truzzi ha scritto un libro “Perché no” senza punto esclamativo che non mi viene certo in mente di leggere un giorno. Nonostante tra il Boyscout fiorentino e l’Acciuga livornese non saprei chi buttar giù per primo dalla torre di Pisa. Forse Matteo Renzi, ma ugualmente non potrò mai pensarla come il Cainano o D’Alema, Salvini o Di Battista. Al quale il maestro Eugenio Scalfari in settimana ha detto ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo: “Il vostro è un movimento politicamente comico: fate ridere”. Imbottito d’antibiotici, peggio di un cavallo, tra quattro giorni finirò comunque la cura e tra sette scapperò in qualche campo di calcio o di basket. Stufo di passare la domenica rinchiuso in camera. Davanti alla televisione. Come oggi, la settima di fila. Anche se fuori piove di brutto e il sabato è sempre un piacere vedere il Chelsea del Conte Antonio alla quinta vittoria consecutiva: sedici gol fatti, tre a Reineri, quattro a Mourinho e cinque ieri all’Everton con doppietta del risorto Hazard. E manco uno subìto. Questo è calcio. Alla faccia di Massimo Marianella che, da profondo conoscitore qual è del calcio inglese, aveva quest’estate pronosticato che il mio amato Parrucchino non avrebbe mangiato a Londra il panettone di Natale. Per la serie: Dio li fa e li manda (tutti) a Sky. Anche gli asini con le ali.