Non mi è dato ancora di sapere chi ha conquistato a Fort Alamo il titolo degli universitari a stelle e strisce tra Michigan e Villanova. Però non corro neanche il pericolo che qualcuno mi fermi per la strada e mi chieda: “Ti è piaciuto il tedesco di Berlino?”. Che poi è Moritz Wagner, ventunenne ala-pivot di due e undici dei Wolverines, i ghiottoni del grande lago americano. E comunque credo che riuscirò a sopravvivere lo stesso se anche non riuscissi a vedere in uno dei prossimi giorni la registrazione della finale di San Antonio. Perché va bene tutto, e arrivo anche a capirli i quattro fanatici della Banda Osiris che nella notte di Pasquetta hanno perso il sonno aggrappati alla piattaforma di Sky, ma non facciamola più grande di quella che è stata in fondo una partita di pallacanestro paragonabile al massimo nel Belpaese ad un Milan-Inter del campionato Primavera di calcio. Difatti dopo pranzo mi sono seduto in poltrona a gustarmi Ravenna-Treviso di A2 e, se mi avanzerà poi del tempo, magari butterò anche un occhio sul presunto evento del ventunesimo secolo che il generosissimo Ciccioblack ha lasciato volentieri commentare a Alessandro Mamoli insieme a Matteo Soragna e del quale va ormai pazzo soltanto Max Oriani. Che, benedetto figliolo, non poteva pensare di poter dare dell’incapace sulla Gazzetta a Livi(d)o Proli e passarla pure liscia. Ha avuto molto coraggio, questo sì: bisogna riconoscerglielo. Però Mamma Rosa l’ha subito guarda caso degradato e sopra la testa gli ha messo il supervisore Giorgio Specchia che, ancora non bastasse, è un ultrà dichiarato della Beneamata. Mentre è risaputo che Oriani, come del resto trequarti della Banda Osiris, da Tranquillo a GasGas Trinchieri, senza dimenticare Luca Chiabotti, Orate Frates, Federico Buffa e Danilo Gallinari, è uno sfegatato tifoso del Diavolo. Specchia ha fondato i Viking assieme a Nino Ciccarelli, ex pluripregiudicato della curva nord di San Siro, quella intertriste, e nel 2011 ha dato alle stampe un libro di successo, “Il teppista”, al quale la Mondadori di via Berchet, a Milano, ha dedicato una vetrina nei giorni di Natale sottraendola a Bruno Vespa e John Grisham. Ciccarelli, dodici anni di galera e dodici foglie d’edera tatuate sulla pelle per ricordarli, è il teppista. Specchia lavorava nel desk del calcio della Gazzetta e quindi non mi sbagliavo quando vi raccontavo che Mamma Rosa, prima di sposarsi in seconde nozze con Papà Urbano, portava slip e reggiseno nerazzurri. Adesso invece è capo delle varie e quindi so con chi prendermela se oggi la Gazza ha buttato via una pagina di basket per Big Ragù. Che poi è Donte DiVincenzo, ventunenne di chiare origini italiane che è stato l’mvp delle Final Four come lo era stato due anni fa, sempre con la maglia di Villanova, il paisà Ryan Arcidiacono. Big Ragù ha segnato 31 punti. E allora? Non mi pare che per Aleska Avramovic, il play-guardia serbo di Varese che sabato ha realizzato contro Pesaro appena due punti in meno di DiVincenzo partendo pure lui dalla panchina, si sia meritato fiumi d’inchiostro sul quotidiano sportivo di Cairo. E così ora non è più un mistero nemmeno per me che i gatti selvatici (Wildcats) della Pennsylvania siano i nuovi campioni Ncaa. Tant’è che subito cancello col bottoncino giallo la registrazione su Fox Sports di Villanova-Michigan e mi spiace per Mammoletta e So-na-lagna, ma mi finisco di vedere il posticipo di A2 del Pala De André. Al quale Mamma Rosa ha regalato questo telegramma: “Girone Est: Ravenna-Treviso 75-73”. E ancora: “Mantova ha esonerato Lamma”. Tutto qua. Ma si può? Io dico assolutamente di no. Oltre tutto il palazzetto della città che fu capitale dell’Impero romano d’Occidente e della pallavolo nel mondo ha fatto per l’occasione il pieno di tifo e la sfida è stata avvincente dal primo all’ultimo secondo. Quando Fraticello Jacopo Giachetti, 34 partite in azzurro, play di Roma, Milano, Venezia e Torino, non proprio un Big Ragù qualsiasi, si è inventato un canestro da favola sopra le mani del povero Matteo Imbrò che invano gli stava chiedendo pietà.